Rory McIlroy è il sesto giocatore nella storia del golf mondiale a conquistare il Career Grand Slam. Dopo 11 anni, il nordirlandese torna a vincere un Major. E che Major: quello che gli mancava, il Masters, per quella Green Jacket che mai aveva indossato in carriera. E con che brividi, con un playoff con Justin Rose finito nel verso giusto dopo che entrambi avevano chiuso a -11 le 72 buche regolari. E con l’equilibrio che non c’è più, perso nelle lacrime di una gioia infinita, dopo l’ultimo e decisivo putt, poi negli abbracci davanti alla club house con tanti tra colleghi (Lowry, Fleetwood tra gli altri), amici, famiglia. Tutto per un giorno che lo pone al fianco di Jack Nicklaus, Tiger Woods, Ben Hogan, Gary Player e Gene Sarazen.
Si parte con DeChambeau che, alla 2, prende il comando con un birdie, salvo poi incappare in due bogey consecutivi, incassando così un distacco di tre colpi rispetto a McIlroy che, per converso, di consecutivi fa i birdie. Si rimane sostanzialmente così per lungo tempo, fino alla buca 9, quando accadono tante, anzi tantissime cose insieme.
Di qui in avanti, infatti, nulla è come prima: alla 10 McIlroy vola a -14, con due birdie nel suo stile a renderlo nettissimo favorito del momento per la vittoria finale. Il tutto mentre Aberg rimette la freccia fino al -9, Reed tenta di tenere a -8 e, alla 11, comincia l’incubo di DeChambeau, che fa doppio bogey ed esce definitivamente dalla lotta per la vittoria. Quella in cui, di prepotenza, rientra Rose con quattro birdie consecutivi dalla 9 alla 13.
Già, la 13. Quella che cambia completamente il corso della situazione. McIlroy, già sceso di un colpo causa bogey alla 11, spedisce direttamente in acqua il terzo colpo, che rimbalza sui bordi del fiume davanti al green e ci finisce dentro. Risultato: -11, mentre poco più avanti piombano su di lui sia Rose che Aberg, a un colpo di distanza. Colpo che viene recuperato con un altro bogey, diretta conseguenza del precedente, da parte del nordirlandese.
McIlroy, però, non è McIlroy per caso: infila un secondo colpo da magia pure alla 15, il senso della follia per tentare l’eagle, che però non gli riesce, come non gli riesce neppure il birdie alla 16: rimane a -11, proprio mentre Rose infila un grandissimo putt dalla medio-lunga distanza alla 18 che gli vale il -11 e minuti infiniti di attesa. Contemporaneamente, esce dalla lotta per la vittoria Aberg, che fa (parecchio) male alla 17 e viene raggiunto da Reed, che si esibisce in una prodezza per l’eagle sempre alla 17.
Ed è proprio sul secondo colpo alla 17 che McIlroy s’inventa una palla che scorre sempre più vicina al green, ancora a distanza da birdie, che stavolta realizza. E si arriva così all’ultima buca: primo colpo a sinistra, secondo in bunker a destra del green. Al nordirlandese serve un gran colpo, e lo trova per andare non lontano dalla buca della storia. Pochi metri, non più di uno e mezzo: la palla, però, va sinistra, e così arriva il playoff con Rose. In sostanza, tra due leggende. Il primo a mandare segnali è proprio l’inglese, con un secondo colpo che scappa un po’ dalla buca, ma è comunque ottimo. Il problema è quello che succede un minuto dopo: McIlroy fa arrivare la palla sulla pendenza per farla tornare indietro, stavolta a neanche un metro dalla bandiera. Rose stavolta va appena largo a destra (e poi imbuca), lasciando di nuovo al nordirlandese l’onere della storia.
Detto della leadership, alla fine al terzo posto chiude un Patrick Reed quasi “silente”, ma sempre presente nelle zone alte: con -9 precede Scottie Scheffler, e sebbene il numero 1 del mondo chiuda quarto a -8 per lui vale una continuità spaventosa a livello Major (dal 2020 ben 13 top ten, compresi i due Masters), al netto del dover cedere la Green Jacket. Quinti a -7 il sudcoreano Sungjae Im e Bryson DeChambeau, che bene o male finisce decentemente, e settimo a -6 lo svedese Ludvig Aberg a causa del triplo bogey alla 18. Chiudono all’ottavo posto a -5 Xander Schauffele, Zach Johnson, il canadese Corey Conners e l’australiano Jason Day.
Fonte: OA Sport – Articolo completo